LEADERSHIP E CHANGE MANAGEMENT | Tra Leadership partecipativa e Allyship: imparare, ascoltare e dare sostegno per generare un cambiamento

10 Lug 2023 | Blog

In questi giorni la Harward Business Review ha dedicato un breve articolo alla Allyship, un concetto in Italia non molto diffuso ma molto importante nell’evoluzione del ruolo del leader e nella definizione della cultura aziendale.

Allyship significa esprimere alleanza, un processo continuo in cui qualcuno con privilegi e potere prima cerca di comprendere le esperienze e le tipicità di un gruppo di persone “diverse” e spesso emarginate, per poi infine entrare in empatia e instaurare relazioni con quelle persone per valorizzare le loro unicità.

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Di seguito porto il mio contributo che “localizza” nella cultura italiana il concetto e lo legge con la chiave di lettura dell’esperienza che ho maturato nelle organizzazioni che ho incontrato.

I punti di vista che riporto, da una parte mettono in evidenza come la diversità sia un valore e come il concetto di diverso nel tempo sia mutato assumendo contorni sempre più frastagliati e sfumati.

Diverso da chi?

Per diversità si intendono tutte le differenze che si possono incontrare in relazione a diversi elementi:

  1. culturali
  2. etniche
  3. religiose
  4. età
  5. genere
  6. abilità psico-fisiche
  7. orientamento sessuale
  8. caratteristiche fisiche

In altre parole, ciascuno di noi è riconducibile a un gruppo specifico di “diversity”: basta pensare al concetto di età e di genere, criterio valido per tutte le persone.

Se ci pensate, senza alcun motivo oggettivo, la parola diversity è intesa quasi sempre in senso negativo, problematico e non come una possibile ricchezza e nemmeno come elemento neutro.

Già questa constatazione ci testimonia quanto sia ancora forte il peso temporale, culturale, sociale e antropologico che ci porta ad attribuire ad una specifica parola un’accezione piuttosto che un’altra. Ciò che è positivo in una cultura non lo è in un’altra, ciò che è un vantaggio in un dato momento storico diviene un limite in un’altra era.

Il pensiero laterale della Diversity 

Far emergere il valore della diversità all’interno di un’azienda è strategico nei percorsi di sviluppo e cambiamento perché – come dicevamo – persone differenti tra loro per background, età, etnia, cultura, genere, orientamento sessuale, fisicità e capacità psico-fisiche possono esprimere punti di vista unici e contributi originali, che favoriscono l’individuazione di soluzioni inedite.

La diversità, quindi, è una risorsa inesauribile che può determinare molta parte del successo di un’azienda, a condizione che venga riconosciuta e valorizzata.

Il nurturing della diversità proattiva

Nurturing significa letteralmente nutrimento: è usato normalmente in ambito social ma anche medico (lead nurturing, nurturing care) alla base sempre il concetto di far crescere, stimolare, dare. e ricevere.

In questo contesto lo userò per indicare come nutrire la cultura della diversità proattiva.

Come si può agire in modo efficace per riconoscere e valorizzare la diversità? Attraverso attività di nurturing, ad esempio nella costituzione di gruppi di formazione – da una parte – e lavoro -nel quotidiano delle attività delle singole BU, in cui formatori e leader trovano spazio per scoprire e sviluppare nuove aree di competenza e di knowledge sharing.

Dall’esclusione, all’inclusione per giungere all’integrazione

Il termine inclusione comprende invece le strategie che prevedono di includere collaboratori che fanno parte di specifiche categorie, sulla base delle differenze elencate, all’interno dell’organico aziendale, e di valorizzarli con percorsi formativi dedicati allo sviluppo professionale.

Quello che leggerete da qui in poi è il risultato della mia personale visione, che parte da un concetto di leadership partecipativa per arrivare alla allyship, in cui la mia chiave di lettura di “diverso” è legata al semplice concetto di non omologato.

Conforme e diverso

Non è omologato chi si esprime, appare, esercita il proprio status in modalità non codificata o generalmente adottata. Quindi non stiamo parlando necessariamente di minoranze etniche, religiose, di genere ma di originale unicità.

Molto spesso nelle aziende – anche quelle dichiaratamente lungimiranti e aperte al cambiamento – basta l’aspetto, per creare emarginazioni o sottovalutazioni determinate semplicemente e a parer mio ingiustamente da preconcetti e stereotipi formali e culturali.

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Confesso che anche io sono stata a tratti colpita dalla sindrome del “ma come ti vesti” nei tanti anni di attività di selezione: ho avuto modo di incontrare persone con outfit – che al di là dell’originalità e della bellezza intrinseca – erano davvero fuori contesto.

Ho dovuto a volte fare un vero e proprio “sforzo” per non farmi “imbrigliare” dalla prima impressione e andare invece a conoscere i candidati nella loro interezza.

A volte ne è valsa la pena, altre no.

Ma non è dipeso dal loro esser “diversi”, ma da cosa esprimevano.

Come per chiunque, conforme o meno.

I bias culturali

Il significato di bias in italiano è pregiudizio, una distorsione. L’etimologia del termine “bias” è incerta, ma studi accreditati collocano l’origine in Francia e nella lingua provenzale con la parola biais ovvero “obliquo”, “inclinato” anche se si pronuncia in inglese [ˈbaɪəs]) è un pattern sistematico di deviazione dalla norma o dalla razionalità nei processi mentali di giudizio. Indica una tendenza a creare la propria realtà soggettiva, non necessariamente corrispondente all’evidenza, sviluppata sulla base dell’interpretazione delle informazioni in possesso, anche se non logicamente o semanticamente connesse tra loro, che porta dunque a un errore di valutazione o a mancanza di oggettività di giudizio

Andiamo al punto: vediamo come i bias culturali della conformità che possono essere superati o evitati prima del loro nascere evitando di cadere nelle trappole del giudizio costruito sulla base di un approccio euristico per arrivare ad una cultura del valore e del merito il più possibile oggettivato.

Partiamo dall’inizio: cosa significa Allyship e quali caratteristiche e vantaggi porta uno stile di leadership di questo tipo.

Allyship: alleati a sostegno di un benessere e sviluppo comune

Ally in inglese significa alleato.

Essere un alleato dei propri collaboratori è il ruolo del leader secondo questo stile dell’esercizio della guida in azienda, ovvero una leadership basata sulla condivisione.

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I leader sono fondamentali nel creare e sostenere un ambiente e una cultura di inclusione in cui tutti possano fare domande e portare idee e proposte.

In questo ruolo, lo stile della leadership è fondamentale.

Essere parte di

Secondo uno studio a cura di Boston Consulting Group, il modello di leadership partecipativa, dove i manager danno valore ai contributi dei dipendenti e sono aperti a nuove idee, è essenziale per promuovere la diversità, intesa come valore di ciascun componente dell’organizzazione nella sua specificità e originalità .

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I leader non sono chiamati a saper interpretare con le proprie competenze questo stile manageriale e pertanto non devono temere di coinvolgere esperti esterni per favorire una cultura basata sulla allyship.

Ma vediamo di cosa stiamo parlando e come si esprime nel quotidiano esprimere e interpretare la allyship.

 

Allyship nella pratica

 

Il concetto di allyship è pratico.

Si tratta di ascoltare e dare sostegno per generare il cambiamento.

Motivare leader e dipendenti a creare una cultura della comunicazione e dello scambio favorisce una cultura di solidarietà, integrazione e sostegno creando un luogo di lavoro migliore per tutti.

Alla base c’è la cultura del riconoscimento: mettere in risalto i suoi risultati rispetto a un collega altamente competente, riconoscendo pubblicamente i suoi contributi è di grande stimolo per la singola persona e per tutti i componenti dell’organizzazione che si sentono spronati all’emulazione di un comportamento gratificante e virtuoso al tempo stesso.

DE&I, ESG e Diversity

Forbes definisce il concetto di allyship come “la chiave per liberare il potere della diversità.”

Sara Gay, Head Of Equity & Inclusion del gruppo Intesa Sanpaolo afferma: “È ormai dimostrato che le aziende con una forza lavoro diversificata possono ottenere risultati migliori, ma il comportamento inclusivo e l’equità sociale sono la chiave per sbloccare questo percorso”

Il concetto di leadership è strettamente legato alla DE&I (diversità, equità e inclusione).

Nel contesto aziendale, quando si parla di Diversity, Equity & Inclusion si fa riferimento a un insieme di programmi, di tecniche e di strategie volte a riconoscere e a valorizzare le differenze individuali, così da massimizzare il potenziale di tutti i dipendenti, nessuno escluso. Inoltre, in termini di ESG, l’inclusione è una leva potentissima in grado di creare e raccogliere consenso da parte dei dipendenti, degli investitori, dei consumatori e dei talenti che l’azienda ricerca a mercato e che sono sempre più attenti a queste caratteristiche nell’effettuare la propria scelta lavorativa e professionale.

Ecco perché oggi  un’organizzazione è chiamata ad impegnarsi su questo fronte. È di fondamentale importanza, perché se l’inclusione crea engagement, awareness, accountability, innovazione e condivisione; al contrario il pregiudizio e le trappole culturali possono danneggiare le aziende sia dal punto di vista del clima che delle performance..

Allyship contro la resignation

Secondo un report da parte del Centre for Talent Innovation (ora Coqual), il 33% dei dipendenti che si sentono vittima di pregiudizi si sente isolato a lavoro, il che è sicuramente dannoso per il clima aziendale e favorisce fenomeni di resignation, ormai molto frequenti in tutte le realtà aziendali.

Allyship può essere di grande aiuto nel contrastare tale fenomeno: tale stile di leadership significa dialogo, ascolto, autoformazione e coinvolgimento continuo.

Ciò che le persone ricercano oggi e che chiedono a volte a voce sommessa ma urlando nelle intenzioni ai propri leader aziendali.

La allyship è un processo continuo, non si manifesta una tantum.

E’ uno stile di leadership e di vita aziendale, non un atto o una strategia.

Il sondaggio di Deloitte The Bias Barrier definisce “allyship” come “parte dei comportamenti quotidiani.”

Cosa bisogna fare per essere alleati?

Da dove si comincia?

Ecco alcune proposte concrete.

 

Trova e crea spazi sicuri

Uno dei principali ostacoli per la allyship è il timore da parte di organizzazioni e persone di interpretarla nel modo sbagliato.

 Non è un motivo del tutto irrazionale. La “cancel culture” esiste e le aziende possono ritrovarsi in situazioni difficili se le loro iniziative non hanno successo, a prescindere dalla loro buona fede. Come riportato dal New York Times, sempre più persone si astengono dal partecipare al dibattito pubblico per il timore di dire la cosa sbagliata nel momento sbagliato e quindi di diventare vittime di shitstorm, anche in ambito aziendale.

Al fine di procedere verso un cambiamento culturale è fondamentale vincere la paura. 

Cosa può favorire il cambiamento

La creazione di spazi in cui i dipendenti possano dialogare senza ripercussioni è fondamentale.

Potere riunirsi, parlare, ascoltare e avviare conversazioni in uno spazio sicuro è il miglior modo per favorire un dialogo aperto, sincero, di scambio.

 

Considera i limiti come punti di ripartenza

I leader hanno un ruolo cruciale nel promuovere una cultura partecipativa ed aperta, ma anche loro vivono paure e incertezze. Sono esseri umani. Basta ammetterlo.

Ma ammetterlo significa riconoscere limiti e debolezze, non rientra nel profilo di un Decision Maker o di un C-Suite.

Il cambiamento è un momento di novità per tutti: ammetterlo e affrontarlo con tutte le incertezze del caso è il modo migliore per raggiungere grandi e inattesi risultati e per concertare una svolta collegiale e corale in cui il limite è vissuto come una consapevolezza di un ostacolo superabile e di un traguardo raggiungibile.

La chiave per esprimere una leadership innovativa e portare al successo persone ed aziende?

Mettere impegno ed energie per la propria consapevolezza e per puntare sulla learning agility e la personal adaptability: le chiavi di successo che permettono di trasferire velocemente gli apprendimenti nella pratica professionale i cambiamenti e le innovazioni.

Laura Colombo

AD ETAss | Career and Digital Coach ICF and mBIT Certified | ex Forbes HR Council Editor | LinkedIn Partner | HR Communication | Employer Branding | Talent Acquisition


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